Sapiens si è dipinto nei secoli a immagine e somiglianza del Supremo. E la divinità, che esista o meno – e che le possa piacere o meno, è stata rappresentata con sembianze umane.
C’è un grande quadro in salotto. Proprio di fronte al camino. La spessa cornice lignea è in sintonia con le grandi travi del soffitto. Illuminate da fiammelle sfavillanti, le figure sembrano mettersi in moto. Verso il finale scontato della storia.
In questi giorni, proprio mentre i colori del bosco vanno dal senape al miele al vermiglio, ci si sveglia al suono degli spari. I cacciatori, con le loro mute di cani, non conoscono confini e passano su tutti i terreni, non solo boschivi, all’inseguimento delle loro sfortunate prede. Volatili, volpi e cinghiali – dove vi rifugerete domani?
Questa parte di Umbria non è ancora sensibile come una Val Pellice piemontese. Dove non si spara agli animali, ma si riconosce che l’ambiente è vita, per tutti, non solo per noi.
Qui è tradizione invece – e si nasconde la propria insensibilità dietro a questa parola – cacciare l’animale selvatico, anche per sport, e poi gustarlo nel piatto. Non si percepisce questo sacrificio come non necessario.
Avrei voluto dare via questo quadro. C’è tensione; è violento e fuori luogo, in questa oasi di pace. Eppure può servire da stimolo. Raffigura il momento della decisione o forse dell’ultimo ripensamento, visto che i cani aggrediscono la preda: uccidere, o non uccidere.
Rifletti, cacciatore, prima di premere il grilletto – la versione efficiente, sofisticata e rumorosa del forcone dipinto su tela.
Rifletti, viaggiatore, prima di ordinare dal tuo menù – una lista insensibile di pietanze dove l’animale è ormai filetto, tagliata o bistecca, il linguaggio dello status symbol del gusto nel piatto.
Gli animali sono nostri fratelli e compagni di viaggio su questa astronave di zaffiro e smeraldo lanciata nello spazio. Spesso, da moderni Dèi con la pancia, ce ne dimentichiamo.